Bora era la più bella e amata tra i figli del dio Vento. Nel suo vagabondare, la famiglia arrivò su un altipiano che dava sul mare. Il luogo era così bello e affascinante che Bora volle esplorarlo allontanandosi dal gruppo. La curiosità dava una grande energia alla bella che si divertiva a soffiar via le nuvole e a correre tra gli alberi. Stanca, si rifugiò in una grotta dove stava riposando il prode Tergesteo al ritorno dall’impresa del Vello d’Oro.
I due si innamorarono perdutamente e passarono in quella grotta tre, cinque, sette giorni di felice passione. Ormai convinto della sparizione della figlia, Vento venne avvisato da un nembo scuro dove poterla trovare. Arrivato alla grotta, Vento scoprì i due e folle dalla rabbia divenne ciclone, uccidendo Tergesteo. La povera Bora era disperata per la perdita del suo amato e iniziò un pianto e le sue lacrime, toccando terra, divennero rocce aguzze. Nella sua disperazione, Bora piangeva, correva, soffiava contro tutto e tutti. Madre Natura, straziata dal pianto della giovane e preoccupata per la sorte del verde altopiano che stava ormai trasformandosi in un luogo arido e roccioso, cercò di calmare l’impetuosa creatura.
Con l’aiuto del Cielo e del Mare, trasformò il sangue del defunto Tergesteo nel Sommaco, albero dal particolare colore rosso che oggi adorna questo luogo, e Mare ricoprì il suo corpo con conchiglie e stelle marine in modo da innalzare la sua memoria fino a diventare la più alta collina del posto. Ai piedi del colle nacque una piccola città che prese il nome del prode, Tergeste (Trieste) e Vento, impietosito dal dolore della figlia, le permise di rimanere in questa terra e di rivivere una volta all’anno quei tre, cinque, sette giorni con il suo amato.
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